24 marzo 2011 – Chiesa Santa Maria di Gesù inf.
Ancora una volta Don Terenzio Pastore coadiuvato dal giornalista Antonio Caffo, ha dimostrato come sia possibile coinvolgere sempre più persone nello sforzo per cambiare ed arricchire la nostra mentalità riguardo l’ineluttabilità della vicenda mafiosa. Il corso degli eventi, muta solo se da parte di tutti c’è l’impegno, di formare ed informare partendo dai più piccoli cittadini. Una presenza numerosa e variegata di ragazzi, giovani, adolescenti, adulti e anziani; di docenti, mamme di famiglia, ingegneri, architetti, funzionari, imprenditori… ha accolto i Testimoni di Giustizia. L’alto spessore umano della loro testimonianza ha fatto vibrare le corde oltre che del cuore anche della’intelligenza, dando una luce particolare all’incontroche possiamo definire, senza enfasi, un evento.
Ascoltare Pippo Scandurra, Antonio Fiore, Mariano Nicotra, Clelia Fiore e Antonio Caniglia, ha suscitato una forte emozione nei presenti e i loro racconti sono stati convintamente applauditi. «Tutti hanno sottolineato che avere coraggio vuol dire fare con semplicità le cose normali ed avere estrema fiducia nelle Istituzioni e nelle Forze dell’Ordine. »
Numerosi, al termine degli interventi, gli attestati di solidarietà e ammirazione. I giovani, in modo particolare, si sono distinti per l’efficacia delle domande poste e della partecipazione a questo evento.
Un applauso particolare, forte e sentito, è stato indirizzato ai Carabinieri presenti, angeli custodi di Mario Caniglia, il quale l’ha voluto subito estendere a tutte le Forze dell’Ordine; Polizia, Guardia di Finanza, Vigili Urbani. Raddoppiato l’applauso abbiamo capito che UNITI si possono realizzare i Sogni dei Siciliani.
L’Intervento di Mario Caniglia
Riportiamo il testo di un Intervento di Mario Caniglia
Non parlerò per conto dell’associazione antiracket di Scordia ma per me stesso, testimone e vittima di estorsione.
La mia storia inizia con uno squillo e si chiude con un altro squillo. Il primo è il telefono di casa: la mafia voleva ammazzarmi in cambio di sua maestà il denaro; diceva queste precise parole: “brutto cornuto o paghi 500 milioni o ammazziamo te e la tua famiglia”; non l’ho neanche preso in considerazione perché non li avevo quei soldi, e anche se li avessi avuti non avrei mai dato loro una sola lira.
Sono un contadino, imprenditore per necessità; tutte le mattine mi alzo alle 5 ed anche il giorno dopo mi sono alzato e sono andato a lavorare. Alle 12 sono tornato a casa ed ho trovato la mia famiglia sconvolta, come se Mario Caniglia fosse stato ammazzato. Cosa era successo? Avevano telefonato ancora e minacciavano di ammazzarci.
Cosa potevo fare? Il mio compito era quello di proteggere la mia famiglia e come potevo? Dicevano che se avessi chiamato i Carabinieri ci avrebbero fatto saltare in aria, ma io li chiamai con molta discrezione e voglio ringraziare i miei angeli custodi che ogni giorno rischiano la loro vita per salvaguardare la mia e tramite loro ringrazio tutta l’Arma dei Carabinieri.
Vennero come un fulmine e mentre raccontavo loro cosa mi stava succedendo, arrivò un’altra telefonata. Chiedevano di nuovo 500 milioni.
Un maresciallo che sa il fatto suo, testimone di quella telefonata, mi consiglia di fingere di trattare e così feci.
Il mio più grande desiderio era quello di vedere in faccia chi voleva toglierci la libertà e renderci schiavi. Ho fatto l’infiltrato e mi hanno attaccato addosso una microspia e chiedevo in giro agli amici e agli amici degli amici; finalmente arrivai ai miei estortori, mi aspettavano con ansia, non volevano 500 milioni, ma volevano farmi una assicurazione a copertura totale dei rischi: tu paghi 20 milioni e puoi stare tranquillo. Dissi io loro: “cosa mi date in cambio di 20 milioni?” Loro risposero: se ti rubano un camion noi te lo restituiamo, se ti rubano un trattore noi te lo portiamo fino a casa, se ti danneggiano un albero sempre con noi devono fare i conti”. Dissi di no e feci una controfferta: vi do 5 milioni una sola volta e non vi voglio più vedere in faccia; mi dissero che l’offerta era troppo povera e che loro non potevano accettarla.
Si interrompono i contatti: da qual momento c’è stato silenzio, silenzio tombale e il silenzio ammazza, e quello è stato il momento in cui ho avuto più paura.
Un giorno vado in uno dei miei aranceti e incontro un amico, amico degli amici, gli chiedo aiuto e dico che voglio risolvere la mia storia; fingo di essere un ex mafioso e gli dico che ho amici importanti che contano e che sono in grado di scatenare una guerra, gli faccio capire che nelle guerre chiunque vinca ci sono sempre dei perdenti, perché morti ci sono da una parte e morti ci sono dall’altra; lui recepisce il messaggio e mi dice che poiché io sono il “Sig. Caniglia”, mi sistemerà lui stesso la mia storia come voglio io. Mi dice di pagare 5 milioni una sola volta e basta.
Se volevo, potevo pagare quei 5 milioni e non mi sarei accorto di non averli più in tasca e la mia storia sarebbe finita lì, forse, ma era come fare un patto con il diavolo ed io patti con il diavolo non ne faccio chiamo ancora una volta i carabinieri e racconto tutto. Decidiamo di non portare 5 milioni, ma solo la metà.
Porto la busta con le banconote segnate a Francesco Di Salvo e lui la intasca, dicendo che avrei portato gli altri presto, cosa che non ho mai fatto. Si fanno sentire presto, prestissimo, agli inizi del luglio 1998 spaccano più di 500 quintali delle mie angurie, una per una, lasciando sopra un taglio a segno di croce.
Un altro casolare adibito a deposito di attrezzi agricoli lo rompono e portano via tutto ciò che c’era.
Vengono consegnati alla giustizia il 2-2-99; si presenta il servizio centrale di protezione; mi propongono di andare via da Scordia con la mia famiglia, ma dico di no, perché non ho fatto niente di male, ho fatto solo il mio dovere, dico loro “gli altri se ne devono andare e non io”.
L’altro squillo avviene il 31-10-2000 e devo ringraziare l’associazione antiracket di Scordia che si è costituita parte civile e dal primo momento mi è stata vicina assieme alle altre associazioni antiracket, ringrazio pure l’amministrazione comunale di Scordia, ce si è costituita parte civile e che quel 31-10-2000 era lì, in quell’aula di tribunale che era divisa in due: da una parte i miei estortori in gabbia, i loro parenti, gli amici, gli amici degli amici; dall’altra parte c’era Mario Caniglia, e non da solo, accanto a Mario Caniglia c’era l’associazione antiracket di Scordia e tutte le associazioni antiracket della provincia di Catania, Siracusa, Messina e persino il Presidente di tutte le associazioni antiracket nazionale, la Signora Nucci, ma soprattutto c’era lo Stato ad aspettare la campanella che annunciava la condanna dei miei estortori: Francesco Di Salvo, uno dei miei estortori, è stato condannato a 10 anni e 6 mesi di carcere, Francesco Rubino, un altro dei miei estortori, è stato condannato a 8 anni e 5 mesi di carcere. Per Mario Caniglia che si è costituito parte civile, sono stati stanziati 200 milioni di risarcimento danni, che se li prenderò li darò totalmente in beneficenza; non perché non ne abbia bisogno, ma solo perché io da loro non voglio neanche una lira, perché sono soldi sporchi. Per il comune di Scordia che si è costituito parte civile sono stati stanziati 25 milioni, per l’associazione antiracket di Scordia 20 milioni: sin dal primo momento ho avuto fiducia nelle istituzioni e tale fiducia è stata retribuita.
Voglio sottolineare la mia persona. Sono fortunato perché ho trovato uomini giusti al posto giusto: il Procuratore della Repubblica di Caltagirone dott. Onofrio Lo Re, il Colonnello dei Carabinieri Umberto Pinotti, un uomo di prima linea; S.E. il Prefetto di Catania, ma soprattutto all’On. Tano Grasso, che sta in prima linea, e che io considero il “messia” dell’antiracket, grazie a lui Mario Caniglia è qui a portare la sua testimonianza.
Mario Caniglia ha un progetto che sta realizzando da solo: andare nelle scuole a portare la sua testimonianza, dicendo a tutti che Mario Caniglia ce l’ha fatta e se ce l’ha fatta lui possono farcela tutti gli altri. Sono una persona nata libera e voglio rimanere tale; lotto per la mia libertà e per quella di tutti.
Mario Caniglia