PONTENURE (PIACENZA) 9-10 MAGGIO 2009
DIRE INSIEME COSE ANTICHE E COSE NUOVE. UN EVANGELO, DIVERSI LINGUAGGI.
Sabato 9 e domenica 10 maggio, nella rurale cornice di Pontenure (Piacenza), i circa 90 partecipanti al convegno di primavera hanno vissuto un incontro ricco di spunti, in cui le diverse voci si sono intonate armoniosamente tra loro. Il «là» è stato dato, il primo giorno, dal biblista cattolico Giuseppe Testa con il commento del più breve di tutti il Salmi, il 117, che affida ad Israele il compito di intonare -non da solista- il canto di lode al Signore, a cui tutti gli altri popoli si uniscono in un coro polifonico. Proprio questo atto di lode è l’elemento unificante, perché manifesta, nella pluralità di voci, la grandezza di Dio. Analogamente, noi cristiani troviamo la nostra unità solo in Cristo e non in noi (cf. 1Cor 12,13-14).
A padre Testa ha fatto eco Placido Sgroi, vicepreside dell’Ist.di S.E. San Bernardino (VE), il quale ha sottolineato che l’unico oggetto dei Vangeli, diversi tra loro per modalità di narrazione, è la Buona Notizia, cioè il Vangelo. Ma il Vangelo è soprattutto una persona, Gesù, annunciato con una sconvolgente pluralità di linguaggi, proprio per essere accolto da una molteplicità di ascoltatori. In questo senso, la varietà delle comunità cristiane non è altro che un evento della ricezione del Vangelo. Quando però i diversi stili di lettura della Parola di Dio sono percepiti come tra loro incompatibili, si cede alla tentazione dell’unilaterismo e nascono le divisioni. La teologia ecumenica ha perciò il compito di ricordare che la pluralità di Dio è anche condizione dell’unità, e che il pluralismo è presente nelle chiese e nell’umanità poiché è proprio di Dio.
Mantenendo questa intonazione, domenica, la meditazione biblica, sotto la guida di Giuseppe Rai, della Chiesa Metodista di Piacenza, ha riflettuto su quell’evento bizzarro ed anacronistico che è la Pentecoste (Atti 2,11). Essa è infatti una festa ‘scomoda’ perché non è un semplice ricordare un fatto lontano, ma ci richiama ad una realtà attuale e cioè che lo Spirito Santo è in mezzo a noi, qui e adesso. Ci dice che il Regno che viene è già venuto e che, per opera dello Spirito Santo, indipendentemente dalla Chiesa di appartenenza, già viviamo l’unità della fede.
Proprio su questa base, sabato pomeriggio e domenica, si sono levate Le parole delle Chiese. Il monaco greco Dionisios Papavasileiou ha sottolineato come, dal punto di vista ortodosso, l’autenticità delle Scritture risieda nel loro uso liturgico all’interno delle comunità. Ed è l’esperienza che ne viene fatta nell’Eucaristia, quale rendimento di grazie, che fonde il fedele a Dio. Va da sé che gli ortodossi facciano fatica a condividere l’approccio ermeneutico proprio dei cattolici e soprattutto dei protestanti.
Ma, all’interno del mondo protestante, le voci sono ancora una volta diversificate, perché accanto alle Chiese storiche rappresentate a Pontenure dal valdese Gioachino Pistone e legate a stili ben definiti, movimenti come quello pentecostale presentano modi diversi di fare chiesa. Stefano Bugliolo, delle Assemblee di Dio e dell’Alleanza Evangelica Italiana, ha sottolineato che ciò che distingue i pentecostali dalle Chiese protestanti storiche, a parte il Battesimo degli adulti per immersione, è la flessibilità della liturgia. Il nucleo del Culto rimane l’Annuncio della Parola, con un contenuto fortemente profetico ed emozionale, senza schemi fissi di predicazione, in cui viene dato grande risalto ai canti di lode, continuamente rinnovati.
Più legata alle proprie origini è invece la Chiesa Avventista del Settimo Giorno, presentata da Roberto Vacca, giornalista presso l’emittente Radio Voce della Speranza. Sviluppatasi all’interno del Movimento del Risveglio, nato tra il XVIII e XIX secolo in una Gran Bretagna teatro della rivoluzione industriale e della trasformazione sociale, essa predilige un approccio piuttosto “cerebrale” allo studio biblico e conserva una tradizione linguistica di tipo apocalittico, proprio delle minoranze. Ma il legame con le origini non ne deve impedire il confronto con gli altri; per questo, sottolinea il Vacca, la vera sfida di oggi è che bisogna imparare a comunicare sapendo ascoltare, proprio come nella Pentecoste, il cui prodigio sta nel fatto che «le genti capivano».
L’intervento conclusivo del convegno, affidato al direttore di CEM-Mondialità, Brunetto Salvarani, ha infine creato il desiderio di assaporare nuove sinfonie. Dopo l’evangelizzazione dei gentili (Atti 15) e l’evangelizzazione dei barbari in seguito alla caduta dell’Impero Romano, siamo ora ad un terzo tornante della storia, quello dell’evangelizzazione delle culture. Crollato il sistema coloniale, a metà del sec.XX, dobbiamo imparare a misurarci con una Chiesa Mondiale e non solo Occidentale. Per Salvarani, siamo già in un Cristianesimo globale, e il luogo centrale di questo passaggio è il Concilio Vaticano II, grazie al quale, da un lato, la chiesa cattolica si è scoperta veramente tale (con vescovi arrivati a Roma dal mondo intero), mentre dall’altro ha capito che il futuro modo di sentirsi chiesa dev’essere planetario. Oggi, il maggior numero di cristiani si trova in Brasile, nel Messico e nelle Filippine, non più in Europa: ciò ci deve indurre a una tensione creativa volta ad inventare un modo di fare missione radicalmente ecumenico e interreligioso, per camminare verso un nuovo modello di chiesa… tutto da inventare. (Donatella Sbroglia in SAENOTIZIE n° 2/2009)