“Una nuovo capitolo dell’intensa attività culturale dell’eclettica America Liuzzo, musicista cantautrice poetessa … , nata a Caracas da genitori calabresi.”
“America Liuzzo” «Quando ritorno ti porto un fiore»
«Ci sono tre cose in cui credo: Dio, la forza dell’amore e il potere della preghiera…E’ questa la mia Santa Trinità.
Non posso evitarlo. Forse anche questa è l’eredità del mio bisnonno. Come la ricerca di Pace oltre l’evidenza di tutte le guerre che, in nome della Patria dei potenti, annulla la dignità di troppi uomini.
Perché Francesco è stato un uomo, sono certa come tanti altri, che fece la guerra ma aveva la pace nel cuore.»
Dalla prefazione di un libro del 26/10/2007 – Una nuova conferma per America Liuzzo, la poetessa nata a Caracas da genitori calabresi e da anni tornata nel paese paterno di San Lorenzo, dove svolge una intensa attività culturale attraverso il circolo del cinema “Il Pettirosso”. Le sue Parole inchiodate tra mari e monti sono giunte in finale nella scorsa edizione del premio Jacques Prévert e sono state appena pubblicate dalla Montedit ne “Le schegge d’oro”. Questa raccolta – scritta a spezzoni nell’arco di diversi anni – è l’ideale prolungamento della poesia “in silenzio” vincitrice del Premio “Nuovo Fata Morgana” 2004.
E’ durante uno dei suoi consueti voli transoceanici, pur sempre corsi sul filo di misteriose tachicardie, che nasce l’ispirazione che d’improvviso le inchioda parole e pensieri nello spazio magico che collega e separa, tra l’America e l’Italia, due identità e due mondi. E sono, sempre, tutta la sua anima.
Avevo lasciato le mie parole di qua e di là, scrive l’autrice nell’introduzione, seppellite nella sabbia di una spiaggia, sotterrate ai piedi di un albero nel bosco, affogate in acque di fiume e di mare, naufraghe da un lato e dall’altro dell’oceano – perché immaginavo che rimanendo coperte dalla silenziosità di quei rivestimenti, non avrebbero corso il pericolo della dispersione nel nulla. Ma ora, con questa sensazione, esse potevano benissimo correre il rischio di indossare l’abito della fantasia e presentarsi al mondo come voce del mio silenzio.
Per profonda amicizia sono stata felice di scrivere la prefazione alla raccolta.
Di leggerla, anzitutto, cercando di entrare nella mente di tutti coloro che, come America e prima di lei, hanno compiuto e ancora compiono quel percorso emozionante e doloroso che, ogni volta, li porta avanti e indietro da una altra civiltà, battezzandoli cittadini di due mondi.
Ho scoperto, poco a poco, una geografia sacra, che tinge di elegia l’anelito del gabbiano verso l’infinito come quella dell’uomo verso un dio antropomorfo, che assume i contorni delle cose in cui abita. Un panteismo lirico che trasforma le emozioni in oggetti e luoghi della natura. Soprattutto il dolore. <<Chiodo azzurro>> della memoria in cui il pensiero si incaglia e da cui solo il forte rapporto di identificazione tra l’io e il mondo – realtà aspromontuosa di Calabria e vagheggiata promessa di una città troppo lontana al di là dell’oceano ( <<Ma tu, Caracas, non dimenticarti di me!>>) – è capace di liberarlo.
Tutta la poesia di América Liuzzo in fondo, mentre lancia il suo ponte tra sé e l’altro, tra sé e sé, tra sé e l’oltre insieme naturale e meta-mondano, sottolinea con passione la costante presenza di questa inserzione e si fa inserzione essa stessa. Punto di relazione e di rottura, di distanze infinite e di intima vicinanza, senza mai poter di volta in volta venire a capo di questo caleidoscopio di contraddizioni di cui è fatta e per cui è celebrata e attesa la vita:
“Allora mi chiese:/”sai tu/cos’è l’Amore?”/Non seppi rispondere…/Mi abbracciò di nuovo/avvolgendomi con le sue ali di fuoco/ed io divenni fiamma/e si sciolse il ghiaccio del cuore/e l’acqua raggiunse il mare…/dove Vita mi aspettava/per parlarmi ancora!”