San Lorenzo di Reggio Calabria – Siamo invitati a sedere alla stessa tavola per … gioire e rendere grazie … mentre arrivano prese per mano la Primavera e la Pasqua

APRILE 2022 – San Lorenzo di Reggio Calabria.
América Liuzzo

In memoria di vecchia tradizione.

JONICA

  • Se, frantumati i loro simulacri,
  • noi li scacciammo via dai loro templi,
  • non sono morti per ciò gli dei.
  • O terra della Jonia, ancora t’amano, 
  • l’anima loro ti ricorda ancora.
  • Come aggiorna su te l’alba d’agosto,
  • nell’aria varca della loro vita un empito,
  • e un’eterea parvenza d’efebo,
  • indefinita, con passo celere,
  • varca talora sulle tue colline
  • (Costantino Kavafis)

Arrivano prese per mano la Primavera e la Pasqua.

Siamo nel cuore dell’Aspromonte: un gruzzoletto di anime rimaste ed un enorme archivio di memorie in questa -quasi solitaria- vetta della Valle del Tuccio. Dopo due anni di chiusure e normative antipandemiche, torniamo -con precauzione-, a respirare nell’aria il dolce profumo di quelle cose che ci sono mancate; cose di cui non avevamo ben capito il senso fino a quando non abbiamo dovuto troncarle dal nostro vivere abituale.

Primavera è la rinascita del bello. Sin dall’antichità l’uomo ha segnato il suo arrivo con aria di festa. In un certo senso, anche la Pasqua è primavera -dell’anima- direi, e questo vale pure per i ricordi.

C’è tanto nella storia di questo antico borgo, nella memoria di chi ancora si affanna ad aggrapparsi ad un vissuto -a volte bello, a volte brutto-, scritto per secoli sulla corteccia e tra i rami invecchiati di un imponente Olmo al centro della piazza principale.

Come scrivevo qualche anno fa in altra sede: Le usanze nascono inconsapevolmente all’interno di una comunità, spinte dal filo invisibile che lega l’anima all’amore per la terra. Tradizione non è quella cosa che viene presentata pubblicamente come “evento”. La vera tradizione è il momento che si ripete a scadenza ciclica nel tempo; tutto un susseguirsi di elementi di preparazione e di attesa. La vera tradizione non ha bisogno di esibizione ma di condivisione. La vera tradizione è quella che ci accomuna e ci invita a sedere alla stessa tavola per gioire e rendere grazie…

E a proposito di usanze, di quei tempi, sentiamo ancora oggi qualche anziano parlare della particolare tradizione delle Varette della Settimana Santa.

Ma cosa sono? Cosa rappresentavano? In che modo sono legate alla tradizione del  Venerdì della Passione in questi nostri borghi calabri? Perché San Lorenzo non è il solo, ma rappresenta l’unico in questo territorio.

Esse sono Fede, Arte, Vita… e tanta nostalgia per credenti e non.

Le Varette o statue della Passione si possono ammirare a San Lorenzo, all’interno della Chiesa Matrice o Protopapale, dove ormai sono state sistemate in maniera definitiva nei vari altari lungo le due navate. Altre invece, recuperate tra i ruderi della vecchia Congrega, rimangono nascoste nei locali della sacrestia in attesa di restauro.

L’usanza aveva inizio con le Via Crucis nei venerdì di quaresima, nella Protopapale, soffermandosi davanti ad ognuna delle meravigliose stampe ottocentesche del francese Pingot e, tra una stazione e un’altra, la comune preghiera finiva incorniciata dalle straordinarie voci dei fedeli, perloppiù donne, che -senza alcuna conoscenza di educazione musicale- riuscivano a sincronizzarsi perfettamente in un
coro polifonico a quattro voci, la cui fama oltrepassava i confini della vallata.

  • Se il mio Signor diletto
  • A morte hai condannato
  • Spiegami almen Pilato
  • Qual fosse il suo fallir
  • (strofa della I stazione)

Infine, giunti al Venerdì Santo, dopo la veglia davanti all’altare della deposizione, restavano mute le campane a lutto per Nostro Signore.

Passava solo l’addetto, col suono muto del legno della Troccola, a bandiare l’inizio della funzione:  “Chista è a prima!”, “Chista è a sicunda!”, “Chista è a terza!”. A questo richiamo, i popolani dei vari rioni si apprestavano al raduno, ciascuno con la propria Vara ed il proprio seguito: il Cristo flagellato, l’Addolorata, il Signore carico della croce ed il Cristo crocefisso… Il Cristo disteso… ed altri.
Meravigliose antiche sculture in legno (alcune) o di carta pesta leccese (le altre). “A Madonna” -mi dicono-“passava d’u Spartiddhi” (che ancora aveva come chiesa funzionante la Dittereale) e l’incontro avveniva in piazza, all’ombra dell’Olmo, mentre proseguivano i fedeli in preghiera e le signore coi loro canti.

  • Veder l’orrenda morte
  • Del tuo Signor non vuole
  • Onde si copre il sole
  • In segno di dolor
  • (strofa della XII stazione)

Che non sia stato più così da tempo, è facile capirlo. La causa principale la troviamo nel brutale spopolamento a cui venne sottomesso il centro abitato, specialmente negli ultimi cinque decenni. Destino riservato a molti paesini dell’entroterra calabrese. L’ultima processione con le Varette a San Lorenzo risale alla metà degli anni ottanta e ne abbiamo testimonianza della stessa grazie ad un blocco di fotografie donate da Don Benedetto Carbone all’archivio video-fotografico del Circolo “Il Pettirosso”. Oggigiorno bisogna accontentarsi di riti più sobri. Il crocefisso solitario posteggiato sul sagrato il Venerdì Santo dei due anni appena trascorsi sta ad indicare che, sebbene da una parte la memoria va mantenuta in qualche modo perché radice del nostro futuro, dall’altra dovrebbe farci riflettere su molte cose. Su ciò che ci aspettiamo dei tempi a venire e di come vogliamo continuare a vivere.

Nondimeno però, che sia questione di fede o di qualcosa’altro, rimane comunque ferma la forza che accomuna tutti nel desiderio di dare continuità a ciò in cui si crede, quella voglia innata di non voler mollare un sentire di appartenenza che contrassegnò i riti pasquali della Valle del Tuccio come un rifiorire identitario protrattosi per secoli e che ci invita ancora oggi a liberarci dal peso dell’inverno – reale o metaforico che sia-, aprendo i cuori come segno di Speranza alla Primavera di un’anima nuova.

  • Tomba che chiudi in seno
  • Il mio Signor già morto
  • Fin che non sia risorto
  • Non partirò da te 
  • Alla spietata morte
  • Allor dirò con gloria
  • Dov’è la tua vittoria?
  • Il tuo poter dov’è?
  • (strofa della XIV stazione e chiusura)

 

  • “Momenti di devozione
  • dispersi nei pensieri dei “santolorenzoti”
  • mentre il vecchio Olmo stanco e assetato,
  • dall’incombente silenzio della piazza,
  • osserva le ombre di noi tutti:
  • presenti/assenti, vicini/lontani,
  • per quanto viene oggi a mancare
  • ma che ciascuno porta con sé,
  • nello scrigno della propria memoria.
  • Ed il vento continua a soffiare…”

América Liuzzo

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