La NOTA PASTORALE dell’Arcivescovo Ignazio Cannavò
CHIESA e CITTA’
nel segno della riconciliazione
Presentazione
Il tema della Riconciliazione è stato in quest‘anno al centro della riflessione delle Chiese di Sicilia, che hanno celebrato un Convegno ad Acireale dal 23 Febbraio al 1 Marzo su “Una presenza per servire“, e di tutte le Chiese d’Italia che si sono confrontate a Loreto dal 9 al 13 Aprile su “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini“. La Chiesa messinese vi ha partecipato con suoi rappresentanti dopo essersi preparata con un Convegno diocesano celebrato il 3 gennaio in Messina e con incontri nelle varie zone della Diocesi.
Come contributo di studio e di riflessione, anche in vista di un impegno pastorale che dovrà coinvolgere la nostra chiesa locale, un gruppo di lavoro, composto da laici e preti, ha preparato questo documento su “Chiesa e Città nel segno della riconciliazione”.
Dopo averlo attentamente esaminato, ritengo di poterlo fare “mio” e offrirlo come “Nota pastorale” alla meditazione della Comunità ecclesiale messinese, nella speranza che essa aiuti i singoli cristiani e la stessa Comunità a prendere coscienza del loro compito nel mondo in cui la Chiesa è inserita, e quindi del rinnovamento che prima ancora deve realizzare al suo interno per diventare veramente strumento di riconciliazione per il mondo.
Se si parla di “riconciliazione” è perché talvolta si nota, se non proprio una rottura, una scarsa convergenza della Chiesa e della Città nell’interesse per l’uomo, per il quale l’una e l’altra devono operare pur nella distinzione dei compiti; o almeno una insufficiente presenza dei cristiani e della Comunità cristiana nella Città. La loro presenza è spesso limitata all’offerta di un servizio dell’annuncio della parola di Dio ma scarsamente riferito agli assillanti problemi della Città, di una celebrazione piuttosto slegata dalla vita, di una testimonianza della carità che se pure generosa nell’aiuto agli ultimi, supplendo alle numerose carenze ai vari livelli della vita sociale, non si fa intervento attivo per contribuire alla creazione e al rinnovamento di strutture più rispondenti ai diritti e alla dignità dell’uomo.
Si parla di “Città” con lo sguardo naturalmente rivolto anche alle dimensioni più piccole del nostro territorio, ma rivolto ancora a quelle più grandi, la Regione, lo Stato…
La Città è realisticamente più emblematica: in essa si riflette più concretamente e più visibilmente quanto viene maturato e deciso a livello politico, di legislazione, di programmazione, di governo, sul piano sindacale, economico, dello stesso costume…
Quanto qui si afferma della città vale persino delle dimensioni più vaste, quelle del mondo, con le sue culture dominanti, le sue ideologie e le sue visioni globali della vita, i diversi sistemi politici ed economici, i suoi opposti blocchi di potenze…
Tutto si riflette nella “Città”, con i peggioramenti e i miglioramenti che appunto la mediazione locale può concretamente verificare e attuare.
Peraltro lo stesso universo è diventato oggi, e sempre più diverrà in avvenire, città dell’uomo, un compito ed una responsabilità dell’uomo, là dove egli opera concretamente. Si attua oggi, più che in passato, una osmosi che nel bene e nel male, provoca scambi, mutamenti e orientamenti, e che non può essere disattesa da ogni uomo, se vuole essere parte attiva nella costruzione del mondo.
Questa ci pare un’osservazione importante per il cristiano perché operi con impegno senza lasciarsi prendere dalla tentazione di evasione di fronte alla complessità talvolta universale dei problemi. Qualunque cambiamento dipende sempre da ciascuno di noi, dalla personale “conversione”, per usare un termine evangelico; il Regno di Dio che è regno di verità, di giustizia, di amore di pace, passa sempre attraverso la coscienza e la vita del singolo per raggiungere il mondo nelle sue strutture e nelle sue istituzioni.
Passa attraverso la testimonianza della Comunità cristiana, che Cristo ha posto nel mondo come seme che deve farsi albero come lievito che deve fermentare tutta la massa.
“Chiesa e città“, sono la nostra Chiesa locale, la Città in cui viviamo, ma nella prospettiva del mondo. La loro riconciliazione può apparire un’utopia, tanto più lontana quanto più si allargano i confini della realtà…
Ma se si inizia a “dare un luogo” a quella riconciliazione, l’utopia si fa concretamente speranza per il mondo intero.
Questo non è trionfalismo. È fede nella parola del Cristo: Egli ci ripete di non aver paura, guardando alla nostra debolezza e povertà, perché ha vinto il mondo, cioè il male che lo domina. Egli è presente con il suo Spirito per portare a compimento la riconciliazione di cui ha posto le fondamenta con la Sua Resurrezione, anticipo ed inizio del mondo nuovo.
Apriamoci ad una fede più autentica, ad una speranza più viva, ad una testimonianza d’amore più vera, che si fa impegno concreto nel vissuto di ogni giorno.
Lo Spirito di Cristo, che opera nell’Umanità, chiede queste aperture concrete per irrompere più largamente nel mondo e rinnovare la faccia della terra.
P.S. Le pagine seguenti sono povere di citazioni, ma non è difficile sentirvi l’eco e persino leggervi le stesse parole dei documenti conciliari) specialmente della “Gaudium et Spes” delle encicliche e delle Esortazioni apostoliche dei Papi (specialmente della “Mater et Magistra” e della “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, della “Octogesima adveniens” e della “Evangelii nuntiandi” di Paolo VI, della “Redemptor hominis” e della “Laborem exer-cens” di Giovanni Paolo II) e di vari documenti della Conferenza Episcopale italiana (specialmente de “La chiesa italiana e le prospettive del Paese”).
Molte idee sono state riprese e applicate al concreto della situazione odierna dell’Italia e più in particolare della Sicilia nei due Convegni di Loreto e di Acireale, di cui sono in corso di pubblicazione gli Atti, che dovranno costituire per tutti luce e orientamento.
1. IN ASCOLTO DELLA CITTÀ
La Città, modello dominante della vita
01. La città costituisce ai nostri giorni il modello dominante per tutto il territorio, simbolo della nostra convivenza e della nostra concezione del mondo.
02. Vivere nella città è entrare in un contesto più ampio di libertà; far esplodere nuove occasioni di rapporti umani; costruirsi una identità; svolgere ruoli, trovare occupazioni nel segno di una maggiore libertà e responsabilità umana; trovare risposte immediate ai più fondamentali bisogni della salute, dell’istruzione, dei servizi; ripensare la propria vita di fede non più in termini di tradizione sociale, ma come scelta e appropriazione personale.
03. In essa si coglie con immediatezza la costruzione del futuro come progetto di tutta la collettività, l’incidenza delle decisioni umane sulle strutture, la pressione dei vasti movimenti popolari. La stessa religione viene accolta se valorizza la creatività dell’uomo e la sua responsabilità verso il prossimo; si colgono più facilmente le dimensioni sociopolitiche della carità, si guarda alla Chiesa con simpatia, solo se la si vede sganciata dall’ideologia della conservazione e della immutabilità verso il passato e porsi come forza che anima il mutamento sociale; si accettano i cristiani, se si coglie in essi la capacità di percepire i valori in atto e le aspirazioni della gente, prendere a cuore i problemi della città e dare voce a chi non ha voce.
Gli idoli della Città
04. Ma accanto agli elementi positivi non mancano quelli negativi. La Città può veicolare una mentalità pragmatica che spinge a preoccuparsi unicamente del funzionamento delle cose, a badare ai risultati, a ciò che rientra solo nel raggio delle possibilità presenti.-
05. Può piegare i criteri urbanistici a logiche di distinzione e separazione sociale ben precise, creare strutture che ubbidiscano alla ragione della produttività e non del servizio da rendere a tutti, tagliare fuori anziani, malati, portatori di handicap; svalorizzare occupazioni che non abbiano un risultato immediato o che non siano quantificabili in termini di produttività; imporre un modello di vita borghese ed una mentalità sempre più economicistica e consumistica.
06. Lo stare in famiglia, la solidarietà, l’apertura agli altri, l’ospitalità, l’aiuto reciproco, la fedeltà, il servizio verso i più svantaggiati possono gradualmente scomparire dal ricco patrimonio della nostra cultura popolare. E cosi la vita viene riempita con “mille cose” e mille attività (dalla macchina di grossa cilindrata alla pelliccia, dal capo firmato alla doppia casa, dalle ferie di lusso alle settimane bianche…); la natalità ne è fortemente condizionata, l’aborto banalizzato, l’educazione dei figli compromessa…
C’è posto per l’uomo nella Città piena di idoli?
07. Il volto umano della città rischia cosi di scomparire: la vita può diventare sempre più chiusa, egoista e prepotente.
08. Ogni aspirazione ad avere rapporti personalizzanti può infrangersi contro l’indifferenza e l’anonimato dei condomini e le grandi strutture burocratiche e funzionali. La difesa dei propri diritti si può risolvere spesso in umilianti e lunghe attese dietro la porta di personaggi che contano e si può anche morire dietro la porta di un ospedale, perchè per “lui” non c’è posto!
La possibilità di una abitazione decente può essere riservata solo a pochi, altri possono aspirare all’edilizia cooperativistica in base al reddito di cui godono. Fitti esorbitanti, anticipati o pagati fuori busta si alternano a case inutilizzate o adibite “solo per uso ufficio”.
09. Alle nuove generazioni può essere offerto un futuro vuoto e senza ideali o impegni che non siano quelli del consumo, della moda, dell’evasione.
Nessuna meraviglia se poi le contraddizioni e i conflitti emergono a volte in maniera violenta, a volte in forme di impotenza o di disperazione.
La città costruita sulla sabbia dell’egoismo
10. L’egoismo diventa palese a livello individuale e collettivo. Categorie privilegiate premono per avere di più perchè sanno di poterlo ottenere, aumentando cosi le disparità sociali.
11. Le pressanti domande che salgono dal mondo del lavoro, trovano risposte inadeguate in un falso industrialismo che fa sorgere a volte industrie già decotte che giocano sulle sovvenzioni pubbliche, fanno ricorso con molta spregiudicatezza e facilità alla cassa integrazione, illudono le attese di molti lavoratori, si prestano per giochi politici di sindacati, partiti, associazioni…
12. L’organizzazione dei servizi e delle strutture pubbliche non solo viene a volte realizzata in modo da tutelare più gli interessi degli operatori interni che degli utenti, ma ratifica spesso le disparità sociali elargendo servizi ineccepibili e puntuali solo dietro forti raccomandazioni, o accetta tacitamente gravi forme di assenteismo, imboscamenti compiacenti, l’uso immotivato di straordinari, poca responsabilità nel gestire il denaro di tutti. In molti ambienti e situazioni resta un sogno parlare di lavoro responsabile e creativo cosi come di partecipazione democratica, in altri occorre l’eroismo per essere semplicemente onesti.
La città di tutti nelle mani di pochi
13. L’aspirazione alla partecipazione responsabile alla vita politica, spesso finisce in deleghe in bianco a persone che vengono mandate avanti allo sbaraglio: perché stupirsi, se poi appaiono inevitabilmente poco trasparenti, dirette dall’esterno, incapaci di dare un senso alle reali aspirazioni della gente e di aprire strade sicure con onestà e competenza?
14. O se le scelte e gli schieramenti politici si fanno cadere sempre dalla parte del più forte, di chi può offrire di più, piuttosto che guardare al realismo dei programmi e alla sincerità e onestà degli uomini responsabili della loro realizzazione?
15. Si giustifica addirittura ogni forma di burocratizzazione e lottizzazione politica, di logica individualistica e clientelare, di politica intesa come gestione di potere, come scontro, eliminazione dell’avversario.
2. LA COMUNITÀ CRISTIANA NELLA CITTÀ
16. In questa situazione qual è il ruolo della comunità cristiana? Essa certamente non può accettare di chiudersi nel privato. È nella città e per la città.
17. Cristo ne ha fatto il prolungamento della sua umanità risorta, vivrà e sarà presente nella storia per salvare ogni uomo, ad immagine del Buon Pastore che muore per far risorgere l’uomo a vita nuova.
18. Suo compito deve essere quello di leggere il presente alla luce della storia della salvezza annunciata nella Parola di Dio, fattasi carne nel Cristo e celebrata ogni giorno nell’Eucaristia, memoriale della sua morte per il peccato e della sua risurrezione per la vita del mondo.
19. La città dell’uomo diventa cosi il luogo ove si realizza il futuro che Dio ha promesso, che il cristiano spera di ottenere e che intanto deve anticipare.
20. La liberazione dal peccato e la riconciliazione con Dio reclamano infatti la liberazione da strutture ingiuste e oppressive e la riconciliazione con gli altri uomini.
21. La costruzione della città, la partecipazione al processo di liberazione dell’uomo, la lotta contro situazioni di miseria e di sfruttamento o contro un falso benessere che degrada e impoverisce l’uomo, è già in certo modo opera di salvezza, è inserirsi in pieno in un processo salvifico che abbraccia tutto l’uomo e tutta la storia umana.
Continua … c
Nota BLOG – Questo documento porta la data del 1° maggio 1985. Sono passati due mesi dal 1 marzo, giorno di chiusura del 1° Convegno delle Chiese di Sicilia – celebrato a venti anni dal Concilio Vaticano II. Poteva essere un formidabile propellente per migliorare l’impegno di tutti nella Promozione della Città, ma così non è stato, nonostante l’abnegazione dei non molti sacerdoti e laici che si erano augurati e speravano che ciò fosse possibile per risvegliare le coscienze di tutti, anzi…
La numerazione è stata aggiunta al testo originale come ausilio della memoria
Continua … c
Per liberare e salvare l’uomo
22. La salvezza che la comunità cristiana celebra, non può essere un affare privato dei singoli credenti che non hanno nè vogliono avere alcuna rilevanza pubblica e sociale, non è un messaggio intellettuale o intimistico che non ha nulla da dire in campo sociale o politico.
23. La comunità cristiana scopre che non è per se stessa, ma per la realizzazione storica della salvezza di tutto l’uomo.
24. Essa deve poter mostrare, nelle strutture essenziali di ogni storia, le concretizzazioni, le anticipazioni della salvezza di Cristo che va compiendosi, discernendo il male da combattere e i valori da riscoprire e promuovere.
25. Fa valere pertanto le implicanze concrete che il messaggio evangelico reclama, mobilita la potenza critica dell’amore, fa emergere motivazioni, dinamismi, valutazioni per l’agire cristiano, impedisce che l’uomo possa essere considerato come materiale e mezzo per la costruzione di un futuro umano, guida l’uomo verso il futuro ultimo.
In difesa e nella promozione dell’uomo.
26. “Non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo, cosi come non può rimanere indifferente a ciò che lo minaccia” (Redemptor hominis, 13).
27. Tutti i problemi nei quali è coinvolta la persona umana nella sua esistenza, nella sua dignità, nella sua libertà e nel suo destino, divengono i problemi della comunità cristiana.
28. Con coraggio e chiarezza evangelica, annuncia la dignità personale dell’uomo immagine di Dio e redento da Cristo, esplicita la sua fondamentale vocazione a costruire una socialità fondata sull’amore nella famiglia, nel territorio, nel paese, nel mondo intero.
29. Resa esperta in umanità alla scuola di Cristo, Dio fattosi uomo, difende l’uomo e non ammette che possa essere sacrificato a nessun progetto sociale, politico od economico. Se denuncia squilibri esistenti, modi concreti con i quali si sono strutturate le relazioni sociali o si è realizzata la giustizia, lo sviluppo, la politica, è perchè vi scorge, con spirito profetico, forme e situazioni lesive della dignità e della libertà dell’uomo.
30. Se scende a concrete testimonianze, presenze, prese di posizioni, è per rilevare la preoccupazione di rendere visibile la salvezza, per stimolare la creatività dei cristiani, per fare crescere la sensibilità e il livello etico della comunità civile, per sollecitare l’intervento pubblico.
Secondo il mandato ricevuto da Cristo.
31. D’altra parte la comunità Cristina è pienamente consapevole di essere custode e annunciatrice della Parola di Dio che riguarda un futuro che non sorge unicamente dalle possibilità della libertà e dell’agire dell’uomo.
32. Non può quindi ideologizzare la fede quasi che da essa provengano dei programmi politici, riducendola al semplice impegno sociale e facendo della liberazione di Cristo una semplice liberazione dei poveri. Non può chiedere nè ricevere deleghe per ricomporre, gestire e dirigere rinnovate alleanze politiche e non può elaborare una concezione sociale e politica accanto alle altre.
33. Se non spetta ordinariamente alla comunità cristiana operare scelte politiche, essa ha però il compito, mediante l’evangelizzazione, la liturgia e la testimonianza della carità, di trasformare dal di dentro, di operare il cambiamento interiore, di rendere nuova l’umanità stessa (cfr. Evangelii nuntiandi, 18), di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita della umanità (ivi 19).
Educando le coscienze dei credenti
34. È un servizio di ispirazione e di educazione delle coscienze dei credenti per aiutarle ad avvertire le responsabilità della loro fede nella loro vita personale e nella loro vita sociale. La fede e la carità esigono di essere portate ad efficacia di vita.
35. Occorre pertanto prospettare un severo tirocinio ecclesiale in grado di far assumere ai credenti un modo di vedere, progettare, impegnarsi, essere presenti nella società in una vera identità cristiana, facendo coincidere la verità delle intenzioni e delle affermazioni con la verità della storia e dei fatti.
Continua … c
3. LE OPZIONI PASTORALI
36. Attenta ai segni dei tempi e consapevole della sua missione, la comunità cristiana vuol contribuire a dare un volto umano alla città.
37. Senza chiudersi nel privato e senza rivendicare privilegi di sorta, impegna tutta se stessa nel creare comunità a misura d’uomo ricche di rapporti interpersonali: fa della famiglia una scuola di umanità, si rende presente nel territorio per collaborare alla costruzione della comunità civile.
3) Costruire la comunità cristiana
38. Le nostre comunità cristiane devono poter diventare la casa, l’esperienza, lo strumento di comunione di tutti, segno profetico di una umanità rinnovata che indica modi nuovi di stare insieme, di comunicare, di condividere, di crescere in umanità.
Con una nuova presenza pastorale
39. La ristrutturazione del territorio, con i nuovi insediamenti e lo spopolamento del centro, mette in crisi le vecchie parrocchie territoriali e richiede la creazione di una nuova presenza di Chiesa attraverso una rinnovata metodologia pastorale.
40. Non si può continuare a vivere di “pastorale di recupero” cercando di tenere in piedi quel che c’è, sacramentalizzando con affrettati e superficiali corsi di preparatone, facendo della parrocchia una “stazione di servizio religioso” per gente anonima.
41. La creazione di piccole comunità territoriali, legate ai villaggi, ai quartieri, ai condomini, con il coinvolgimento responsabile della ministerialità laicale, farà riscoprire il senso famigliare della comunità, la ricchezza dei rapporti interpersonali, la gioia di sentirsi nell’assemblea come a casa propria. Renderà attenti a percepire l’economia della salvezza che entra più concretamente nel tessuto della vita umana, nei problemi delle persone e del territorio.
Attraverso un cammino di fede
42. Forme di pastorale nuove, cammini di formazione cristiana differenziati e attenti alle situazioni spirituali delle persone, trasformeranno le comunità in permanenti scuole di fede e ricostruiranno il contesto socio-religioso in grado di trasmettere la fede e i contenuti della fede cristiana.
43. Il cammino di fede non è concepito semplicemente in termini di adesione intellettuale o volontaristica a delle verità da credere come se si trattasse di un sistema ideologico.
44. Esso suppone una metodologia di tipo esperienziale che è al tempo stesso contemplativa e liturgica nella comunità. Conoscendo e imparando a celebrare la fede della Chiesa, si è gradualmente introdotti nel mistero della rivelazione dell’incontro col Signore e qui si scoprono o riscoprono i contenuti del Vangelo trasmessi nella fede e le esigenze etiche, si colgono i riflessi concreti e fecondi per l’esistenza quotidiana.
La centralità della celebrazione
45. Le celebrazioni liturgiche siano celebrazioni della fede fattasi vita: le omelie, fedeli ai testi liturgici, legate alla Storia della Salvezza, sappiano rivolgersi alla vita quotidiana della gente, ne colgano le domande cruciali, dicano con amore la verità cristiana sui problemi che giocano il suo futuro.
46. Chi presiede la comunità sia immagine coerente del Cristo che dà tutto se stesso per i suoi amici attraverso un’autorità fatta servizio disinteressato, una predicazione divenuta testimonianza personale di vita, una guida della comunità tradotta nel camminare avanti, segnando la strada, adeguando il cammino con chi è più lento, cercando chi si è allontanato, proclamando con fermezza e chiarezza il Vangelo di Cristo, pagando di persona per il bene della comunità.
47. Lo spirito di povertà e di giustizia appaia evidente nell’amministrazione dei beni ecclesiali e di qualunque genere, sempre trasparente e aperta ai bisogni degli ultimi, ma anche alla libertà evangelica, che porta a rifiutare appoggi, protezioni, finanziamenti anche per finalità buone se provengono da persone o ambienti di dubbia moralità o di occulti intendimenti.
2) Costruire la comunità famiglia
48. La famiglia rimane il luogo privilegiato dell’educazione e della maturazione ai valori umani e alla vita di fede nella Chiesa. Il vissuto famigliare manifesta infatti, annuncia e ripresenta il vissuto della Chiesa.
49. Un caldo e sereno ambiente famigliare basato sull’amore, il dialogo, la comprensione, l’accoglienza, il rispetto, apre al valore della persona e ai rapporti personali come dono dello Spirito e possibilità storica concessa agli uomini.
Imparando a vivere
50. Il desiderio di trasmettere la vita o di accoglierla, trasmetterà anche l’idea che la vita è un dono di Dio che vale la pena di essere vissuta e non può essere sprecata in avventure superficiali e insignificanti, buttata via dietro una siringa, logorata con giornate stressanti, senza riposo, senza tranquillità.
Ascoltando gli altri
51. La condivisione di gioie e dolori, speranze e privazioni, educa alla solidarietà e alla carità generosa con tutti, fa trovare il tempo per accogliere e badare agli anziani, ai malati, ai portatori di handicap senza lasciarli soli con il peso degli anni o delle sofferenze, scaricarli in un ospizio, aspettando che se ne vadano con discrezione senza tanto rumore. Rende capaci di rinunciare a un lavoro quando la famiglia gode già di un cumulo “sufficiente” di salari, sapendo determinare nella fede, il “necessario” per sè e la propria famiglia, per poter stare con i propri figli, per accettarne magari un altro non previsto nè voluto, per poter venire incontro ai bisogni di altre famiglie.
52. La sensibilità e l’attenzione agli altri vissute nella famiglia faranno gestire il benessere economico del quale godono molte famiglie, senza chiudere gli occhi sulla folla dei nuovi poveri tutt’ora priva dell’essenziale, nè farà retribuire con criteri di sfruttamento le collaboratrici famigliari, specie quelle di colore, che spesso rendono possibile la libertà e l’inserimento nella vita sociale di molte donne e rimangono l’unica presenza affettiva accanto ai figli lasciati soli tutto il giorno.
Imparando ad amare
53. L’impegno comune a vivere l’amore di Cristo nella stabilità e fedeltà, aiuterà i nostri ragazzi a superare l’insicurezza affettiva che li caratterizza, che anticipa precoci e instabili esperienze affettive, rende fragili i nuovi matrimoni, fa scegliere la convivenza come situazione ottimale della vita di coppia, reversibile, non definitiva, suscettibile di essere interrotta in un atteggiamento di eterno fidanzamento.
Imparando a morire
54. Le risposte trovate nella fede famigliare alle domande inquietanti sulla vita e la morte, sul dolore e sulla malattia, demoliranno la congiura del silenzio che spesso circonda i propri parenti giunti al termine della vita. Vengono lasciati morire soli, senza avere il coraggio di rispondere ai loro spesso silenziosi interrogativi, paure, ansie, perché forse non si è saputo trovare ancora una risposta personale.
La vita di famiglia inizia alla vita della chiesa…
55. Il perdono reciproco vissuto nella famiglia darà un volto umano concreto al perdono del quale si fa esperienza nella celebrazione sacramentale; lo stare insieme a tavola, mangiando lo stesso pane frutto del lavoro di tutti, inizierà alla comprensione dell’altra mensa preparata da Cristo nell’assemblea domenicale; l’amore celebrato nella famiglia, spesso a costo di grandi sacrifici e rinuncie, diventerà lo stesso linguaggio e la stessa esperienza per “dire” e “fare” (=celebrare) l’amore di Cristo per la sua comunità.
… e alla vita della comunità civile
56. La soluzione nell’amore dei conflitti, incomprensioni, egoismi all’interno della famiglia, aprirà a quelle strategie del dialogo, della trattativa, della non violenza, della tolleranza che sono poi i valori sui quali si fonda il bene comune e la vita nella città.
3) Costruire la comunità sul territorio
57. L’esperienza liturgica di comunione con Dio e tra i fratelli vissuta nell’ambito della comunità cristiana e della famiglia, deve proiettarsi nella testimonianza e nell’impegno per costruire la comunità civile nel territorio.
Il senso dell’impegno nella città
58. L’atteggiamento morale di responsabilità verso il prossimo e la società diventa il “segno umano” attraverso il quale gli uomini percepiscono che un Evento assolutamente unico è ormai presente e operante nella Storia.
59. L’impegno dei Cristiani diventa il luogo e il momento che rivelano la presenza e l’azione di Cristo e il suo incontro con l’uomo.
Fare sintesi tra fede e vita
60. Per i cristiani si tratta di raccogliere la provocazione dei profeti i quali denunciano come vuoto e vano un culto distaccato dalla vita.
61. Celebrare la festa, offrire il sacrificio, presentarsi al Signore vuol dire imparare a fare il bene, ricercare e praticare la giustizia, soccorrere l’oppresso, difendere la causa degli ultimi (cfr. Am. 5,21-25; Is. 1,10-16; Mich. 6,5-8).
62. Ritrovarsi e abitare nella casa del Signore comporta l’emendamento della condotta e delle azioni, svolgere con onestà il lavoro, amare il bene comune, creare uguaglianza, rispettare, tutelare e promuovere la vita (cfr. Ger. 7,4-7).
63. Porre un gesto autentico di religiosità vuol dire dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire chi è nudo, togliere situazioni oppressive, riscoprire responsabilità personali (cfr. Is. 58,3-11).
Per amore dell’uomo
64. Si tratta di vivere senza ambiguità e compromessi, quei valori condivisi dagli altri uomini e che i cristiani hanno imparato a rileggere nella considerazione completa dell’uomo redento da Cristo.
65. Essi storicizzano cosi nella città, l’esperienza di comunità fatta nell’assemblea domenicale, danno un corpo umano e secolare al “pane spezzato” che son divenuti nella Eucarestia, attraverso il servizio e il dono di se stessi.
66. Attraverso la ricchezza della loro umanità pongono un segno espressivo della vita nuova riscoperta nella celebrazione.
67. L’impegno socio-politico è il loro modo particolare di manifestare la fede-carità-speranza.
4. I CRISTIANI NELLA CITTÀ
Una verità di sempre
68. La presenza e il servizio della Chiesa nella città passano attraverso l’efficace presenza dei cristiani, nella consapevolezza che l’unica fede non necessariamente debba coincidere con i programmi di azione culturale sociale e politica che i cristiani singoli o associati perseguono.
69. “Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa… individuare le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi” (Octogesima adveniens, 4).
Una verità spesso oscurata
70. La comunità cristiana va prendendo coscienza che se non si è fatto abbastanza per la città, non è perchè si è cristiani, ma perchè non lo si è affatto, o lo si è in maniera inadeguata o distorta.
71. Abbiamo data per scontata l’identità cristiana dei nostri fedeli senza accorgerci che di fatto sono cresciuti senza catechesi, accontentandosi di una fede infantile, di esperienze bibliche e liturgiche piuttosto emotive, di saggistiche di moda, di tematiche sessantottine ed assemblearistiche, a volte consumandosi in imprese sociali e politiche senza più un serio confronto con il Vangelo e con la fede della Chiesa, rincorrendo l’emergenza dei problemi quotidiani, ponendo in atto scelte operative dove è difficile se non impossibile ritrovare la matrice cristiana.
72. Abbiamo permesso o assistito impassibili alla formazione di una mentalità, da parte di molti cristiani, di emarginazione o minorità ecclesiale sol perchè impegnati nel campo della politica o dell’economia, di altri invece, singoli o associati, abbiamo favorito o accettato una presunta rappresentanza di Chiesa di frontiera.
73. Altri abbiamo lasciato che fossero sommersi da una ideologia non laicale ma laicista, dove l’immersione nel temporale e l’autonomia necessaria delle sue leggi spesso prescindono dal progetto di Dio cosi come la Chiesa l’annuncia, lo celebra, lo vive.
74. Altri abbiamo educato all’insegna del più discutibile infantilismo spirituale, creando una paurosa spaccatura tra vita e fede, tra appartenenza alla comunità ecclesiale e inserimento nella comunità civile, facendone dei chierici in miniatura.
75. Altri poi abbiamo appoggiato e sostenuto solo per interessi personali, o pseudoreligiosi.
La via della formazione cristiana
76. L’amore per la città deve tradursi in impegno, da parte di tutta la comunità cristiana, a formare dei cristiani che sappiano impegnare la fede con responsabilità e autonomia nella politica, nell’economia, nei consigli di quartiere, nella struttura sanitaria e scolastica, nell’organizzazione del volontariato, nel mondo del lavoro…
77. La formazione deve renderli idonei a leggere e a fare la storia con gli occhi di Dio; come i profeti, a denunciare tutto ciò che blocca e degrada il suo disegno di salvezza; ad accogliere ogni segno di speranza; ad offrire tempo, competenza professionale, idealità, chiarezza di scelte e di comportamenti; a cercare soluzioni in spirito di apertura, di dialogo e di collaborazione con tutti.
78. Il contatto continuo con la comunità, l’ascolto della Parola, lo studio dell’insegnamento sociale della Chiesa, la celebrazione liturgica, il confronto con la testimonianza della carità, costituiscono la verifica, l’alimento, la motivazione del loro impegno.
Nella città con spirito di collaborazione
79. Quanti hanno a cuore un futuro della città a misura d’uomo, devono poter guardare ai cristiani nella speranza di trovare in loro stimoli per nuove progettualità per reagire al deserto ideale.
80. I cristiani sono chiamati a collaborare e a cercare alleanze nel quadro di una grande chiarezza di idee e di una concreta volontà di servizio senza ammettere ambiguità, contraddizioni, compromessi sui grandi valori dell’uomo e della comunità.
81. La prudenza e la vigilanza evangelica farà si che l’idealità non perda la sua carica utopica nelle sue storiche e pluralistiche mediazioni, nè rifluisca in iniziative di piccolo cabotaggio, marginali, insignificanti, carenti di coraggiose e puntuali analisi capaci di andare alla radice dei problemi.
82. L’attenzione ai problemi del bene comune, se aprirà la strada a contributi personali e comunitari per pianificare ed elaborare interventi utili, darà anche il coraggio di toccare interessi e consolidate abitudini di potere per non cadere di nuovo in condizioni protette, clientelari e anche mafiose.
83. Cosi l’amore per la democrazia nella città, nel lavoro, nel sindacato, nei partiti, deve saper andare oltre le ragioni di maggiore produttività ed efficienza e spingersi anche alla contestazione del gioco spesso incomprensibile delle varie “segreterie” che rischia di risolversi in poca o nulla attenzione alle aspirazioni dei lavoratori e dei cittadini.
Presenti per servire
84. Competenza, moralità, chiarezza, spirito di collaborazione guideranno la scelta o l’appoggio di chi ritiene di poter lavorare in prima linea sui fronti della politica, dell’economia, dell’amministrazione pubblica.
85. Il contatto vivo con la comunità che li ha espressi e che crede nei valori della partecipazione, della democrazia, della giustizia sociale, renderà determinante la loro presenza nelle situazioni e nelle strutture ove si decide il destino di tante famiglie, ove si creano o si superano le disparità, ove si gioca tutto sulla speranza e sulla giustizia o si affossano i bisogni fondamentali nell’immobilismo burocratico o nei giochi di potere.
86. La scelta della militanza nel sindacato o nella politica comporta coraggio evangelico, spirito di sacrificio e fermezza d’animo perchè l’onestà, il disinteresse, l’amore per la giustizia specie a riguardo di persone e categorie non tutelate o non significanti sul piano elettorale, non sempre “fanno far carriera”.
Nello spirito dei profeti La questione morale
87. Non si può non essere intransigenti sulla questione morale di persone fin troppo compromesse e sempre appoggiate o di strutture ingiuste nelle quali con superficialità ci si inserisce per raggiungere posizioni più vantaggiose.
88. Si deve contestare un modo di far politica che non rispetta le più elementari leggi della partecipazione democratica.
89. Si deve parlare apertamente contro l’evasione fiscale, le rivendicazioni corporative, l’uso egoistico e individualistico dei capitali.
90. È tempo ormai, con matura coscienza sociale, di indicare i limiti della liceità di uno sciopero, di non far ricorso alle sovvenzioni pubbliche senza alcuna giustificazione, di non frodare la previdenza sociale e il fisco, di non abusare del servizio sanitario. Sarebbe un andare contro la giustizia.
91. Non si può accettare passivamente lo sperpero di enormi risorse impiegate in logiche di morte o in finanziamenti pseudoculturali, quando situazioni di povertà assolute tutt’ora presenti nella città rimangono senza risposta e quando intere fasce sociali si vedono preclusa ogni via di sviluppo: rimangono ancora scandalosamente insoluti molti problemi della salute, della casa, del lavoro, dei servizi pubblici.
92. Nè si possono continuare a risolvere i problemi personali ricorrendo alla logica delle raccomandazioni che non favorisce l’esercizio della giustizia: solo “chi ha e chi conta” verrebbe gratificato nel suo progetto di avere di più e di contare di più.
I nuovi poveri II volontariato
93. Il futuro umano della città dipenderà dalla demolizione di quei nuovi idoli che si stanno costruendo (denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle possibilità), ma dipenderà anche dall’ascolto del grido dei nuovi poveri che la città ignora e perfino coltiva.
94. Solo assieme agli ultimi si può costruire un genere diverso di vita basato sui valori del bene comune progettando insieme a loro il domani e ripartendo i sacrifici da affrontare.
95. In questo contesto il volontariato non può essere visto come espediente di copertura dei buchi lasciati aperti dall’ombrello dell’assistenza pubblica o come avallo a latitanze, disimpegno, cattiva amministrazione… ma solo come modo di porsi da cristiani nella società, nella riscoperta del dono e della gratuità, nell’impegno per far crescere la coscienza della società.
Il lavoro per tutti come via di umanizzazione
96. Non si può continuare a dissertare sulla vitale questione della disoccupazione che tanti guasti, anche di natura morale produce nel tessuto sociale.
97. Il lavoro è sacro, appartiene alla stessa definizione di uomo, alla sua dignità.
98. La mancanza di lavoro non è una fatalità, non può essere racchiusa nelle cause strutturali, oggettive.
99. Le nuove frontiere del lavoro saranno frutto della sensibilità di tutta la società, richiedono la creazione di nuove forme di solidarietà, di nuove idee che la smettano di considerare produttivo un capitale che espelle manodopera.
Tutti responsabili
100. Occorrono pertanto soluzioni indilazionabili che chiamano in campo autorità, imprenditori pubblici e privati, amministrazione, chi detiene i capitali, chi un lavoro ha già e chi lo attende, affinchè ognuno nel suo ambito contribuisca alla creazione di un lavoro per tutti nella quantità e nella qualità necessarie e vigili perchè le scelte non disattendano le primarie esigenze di tutti causando cosi ulteriori, più gravi sofferenze, frustrazioni, violenza, calo di fiducia e di senso della vita.
I cristiani dinanzi ai problemi del lavoro
101. I cristiani siano impegnati nei problemi riguardanti la difesa del posto di lavoro, l’occupazione, la sicurezza e la sanità dell’ambiente di lavoro e specialmente la qualità della vita del lavoro.
102. Utilizzino le strutture e gli strumenti di partecipazione per la difesa dei diritti dei lavoratori, quali i partiti e i sindacati.
103. Svolgano il proprio lavoro con dignità, competenza e spirito di servizio, reagendo al disimpegno, ad ogni forma di alienazione e di dissacrazione, di discriminazione teorica o pratica per altri lavori considerati inferiori. Non si chiudano egoisticamente nei confronti di categorie più deboli e meno tutelate.
CONCLUSIONE
104. La chiesa locale non ha la pretesa, nè può averla, di indicare o dare soluzioni, nè è chiamata ad elaborare decreti sul costo del lavoro, sul dinamismo della scala mobile, sui punti di contingenza.
105. Non spetta alla chiesa suggerire come bloccare l’inflazione, reperire capitali, inventare e creare nuovi posti di lavoro, dare possibilità di accedere all’acquisto o nell’affitto di una casa, proporre piani regolatori.
Scommettere sulla giustizia
106. La Chiesa sa, però, che su questi problemi e sulla loro soluzione oggi si sta giocando il futuro umano della nostra città.
107. Sa che per i cristiani il dinamismo della riconciliazione con Dio che non passa attraverso l’impegno per un progetto di giustizia, diventa alienante e alibi per tacitare la propria coscienza, in tal caso farisaica ed egoista.
Attingere all’Eucarestia
108. A nulla vale l’osservanza scrupolosa di una corretta pratica religiosa se poi si trasgrediscono le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia, la fedeltà (cfr. Mt. 23,23); se poi si creano disparità all’interno del tessuto sociale (cfr. Giac. 2) o non si fa niente per rimuoverle.
109. L’Eucarestia è riscoperta e riattualizzazione dell’adesione totale a Dio e nello stesso tempo riscoperta della Carità come fondamentale dimensione della vita cristiana, del privilegio da dare agli ultimi, dell’impegno per la giustizia e il servizio ai fratelli poveri.
Dare un volto storico alla Carità
110. La carità reclama l’azione politica come maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio dei fratelli (cfr. Octogestima adveniens, 46).
111. Essa esige la creazione di ordinamenti giuridici, strutture, organizzazione del lavoro, costruzione di una città ove l’uomo possa realizzarsi nella ricchezza della sua umanità.
112. La carità verso il prossimo, oggi per noi cristiani si misura dal modo come ci si pone dinnanzi a questi problemi.
113. Sostenere ancora che ognuno debba cavarsela da solo, che i problemi sono più grandi di noi, che sono i politici o i vertici sindacali a doverci pensare, significa fare come il levita o il sacerdote che passano oltre lasciando sulla strada di Gerico il fratello ferito, dissacrando il senso della preghiera fatta al tempio.
114. In nome di quell’esperienza di riconciliazione fatta attorno alla Eucarestia, possiamo dire apertamente che tutti, direttamente o indirettamente, siamo chiamati, ognuno per la parte che gli spetta, a contribuire alla soluzione, nella carità fatta giustizia, di questi problemi.
Operare nella speranza
115. Il compito del cristiano è difficile, impegnativo, pieno di responsabilità, esige coraggio, disponibilità alla sofferenza delle incomprensioni, persino dei sospetti, delle condanne. Proteste e condanne possono venire da parte di chi vuole ridurre la fede al piano individualistico e intimistico e comunque strettamente religioso, negando al cristiano il diritto-dovere di portare il contributo della sua fede nella costruzione del mondo.
116. Incomprensioni e sospetti possono trovarsi anche in tanti fratelli nella stessa fede, resi timidi dalla paura di compromettere la fede, cedendo ad una sorta di puritanesimo per il quale la politica non può essere redenta, e negando cosi la possibilità stessa di una riconciliazione tra Chiesa dei credenti e Città dell’uomo.
117. Ma se Cristo ha redento tutto l’uomo e la politica è una dimensione essenziale della vita dell’uomo, essa non può e non deve essere chiusa all’intervento del cristiano.
118. E di fronte alle opposizioni e alle difficoltà il cristiano trova la forza nella fede che Cristo è presente nella storia e ne è il Signore.
119. La sua fede si fa allora speranza che si esprime nella preghiera fiduciosa e nell’impegno generoso.
Messina, 1 Maggio 1985.