29 marzo 2017 – IC “Santa Margherita” (Plesso Simone Neri Giampilieri)
«Che razza di ebreo sono io»
Un testimone di interculturalità e di pace.
di Carmelo Labate
«In dialogo» è un progetto extra-curricolare realizzato presso l’IC “Santa Margherita” (Plesso Simone Neri Giampilieri) che mira a formare negli alunni della fascia adolescenziale l’attitudine al dialogo. A parlare di dialogo si fa presto. Ma bisogna trovarsi in situazione col “diverso da noi” per provare quanto siamo capaci di relazionarci. Il 2017 è il terzo anno che in questa scuola si lavora a lungo e intensamente per poi arrivare ad una giornata conclusiva con la presenza di rappresentanti delle diverse confessioni cristiane, con rappresentanti dei musulmani presenti a Messina, con un significativo e qualificato testimone ebreo della interculturalità e della pace.
L’evento è stato abbinato ad un altro organizzato per il pomeriggio dello stesso giorno (23 marzo) dall’Associazione SAE (Segretariato Attività Ecumeniche) di Messina e con la partecipazione del Centro Europeo Studi su Mito e Simbolo (Università degli studi di Messina). Ospite e testimone per i due eventi è stato il prof Bruno Segre, ebreo “secolarizzato”, ma studioso di vari aspetti e momenti della cultura e della storia degli ebrei, che ha sperimentato l’emarginazione sulla propria pelle.
Nell’incontro del mattino a scuola, dopo lo Shalom di canto e di applausi e brevi interventi della dirigente Dr. Laura Tringali e della coordinatrice del progetto Antonina Busà, insegnante di religione e socia del SAE, comincia a parlare Bruno Segre, che le locandine e gli inviti segnalano come ebreo, professore, filosofo, storico, saggista, ma che ama essere chiamato per nome, semplicemente Bruno, soprattutto là in mezzo ai tantissimi ragazzi dei quali potrebbe essere il bisnonno (è prossimo agli 87 anni). E, infatti, si mette a raccontare con tale semplicità di linguaggio che tutti, alunni e genitori e insegnanti, restano affascinati dalla sua parola mite pur se riferisce eventi dolorosi vissuti in età adolescenziale e che per molti aspetti durarono fino al Concilio Vaticano II.
Il Concilio, aveva ricordato la Busà, col decreto Nostra Aetate (n° 4) del 1965, si è pronunciato a favore del popolo ebraico col quale Dio, l’Adonai, aveva stretto l’Antica Alleanza e dal quale popolo discendevano Gesù, Maria, gli Apostoli e i primi credenti già prima che il vangelo fosse annunziato anche ai gentili. L’assurdo che la storia ha vissuto, quello delle persecuzioni di questo popolo, non si dovrebbe ripetere mai più. Perché questo avvenga la Chiesa del Concilio deplora ogni persecuzione e manifestazione antisemita, propone un percorso di rieducazione per sé e tutti i battezzati (studi teologici, predicazione, catechesi) verso gli ebrei, auspica nuove e positive relazioni con le loro comunità.
La voce corale della scolaresca sulle note di Gam-Gam-Gam Ki Elekh, canto che riecheggia il Salmo 23: se andassi nella valle oscura (solitamente ripetuto nel giorno della Memoria per ricordare in particolare quel milione e mezzo di bambini trucidati dai nazisti), prepara e avvia la testimonianza di Bruno.
«Siete meravigliosi, bambini, frequentate una scuola straordinaria»! E racconta che aveva otto anni nel 1938 quando le leggi razziali (forse bisognava scrivere “razziste”, dice) lo bandirono da tutte le scuole del Regno (allora non c’era ancora la Repubblica). La scuola è cultura e questa produce libertà di pensiero e quindi di organizzazione, di sviluppo e di lavoro. La prima cosa che tocca un regime è proprio la scuola. E se qualcuno ti esclude, ti toglie i diritti, tu non sei più “cittadino”, sei un suddito, cioè non sei nessuno, di te si può fare quello che si vuole, e vieni sfruttato come un animale o macchina da fatica. Della scuola non si deve fare a meno, essa ti dà l’opportunità di diventare cittadino, persona, e tutti rispettano la tua dignità. Agli ebrei, spesso nella storia, sono stati negati i diritti più elementari. Fu Carlo Alberto di Savoia, re d’Italia, a dare libertà agli ebrei e ai valdesi (1848).
L’essere fuori da ogni comunità si traduceva nella mia famiglia col non catechizzare in nessuna religione; come ebrei sapevamo soltanto che appartenevamo ad una minoranza (in Italia eravamo appena 1‰ rispetto alla cosiddetta razza ariana) perseguitata sempre, a volte più altre meno. Eppure gli ebrei in Italia erano presenti già molti secoli prima dell’era volgare. Stando ai margini delle denominazioni religiose, però, ci sentivamo e ci sentiamo – noi che viviamo in Italia – cittadini italiani. Sentirsi cittadini non esclude l’essere ebrei o africani o indiani o altro. La diversità è da favorire perché è una ricchezza e aiuta a liberarsi dal pensiero unico che ogni regime tende a imporre, come fanno pure il potere economico mondiale e la forza delle armi. Io sono ebreo perché nato da madre ebrea. Nel tempo mi sono documentato sull’essere ebreo, e così, ogni volta che mi viene richiesta una testimonianza, come questa che sto facendo qui a voi, posso rispondere dettagliando usi e costumi e credenze e cultura.
Dopo il 1938 e la “Catastrofe (Shoah)” degli anni quaranta fino alla Liberazione, la mia vita e dei miei familiari è stata un continuo esodo (come fanno gli sfollati di oggi e tutti quelli che fuggono dalle guerre) da una parte all’altra in cerca di rifugio. Nonostante le difficoltà, ho studiato privatamente per dare gli esami della quinta elementare, per l’ammissione alla scuola media e infine per la maturità. Ho tanto studiato che sapevo quasi tutto Dante a memoria. Ma lo Shemà Israel è la vera cultura degli ebrei, è quel tramandarsi attraverso l’ascolto un senso di liberazione da ogni schiavitù. Questo me lo hanno fatto capire i miei nipotini con le loro domande pertinenti e impertinenti e alle quali ho risposto riprendendo anch’io la tradizionale preghiera che gli ebrei insegnano ai propri figli a recitare prima di andare a dormire la sera, come un consegnarsi nelle mani dell’unico Signore. Così i miei nipotini sono divenuti il supporto del quale avevo bisogno nella mia ricerca di Libertà.
Bruno non si stancava di parlare. E’ stato interrotto soltanto dall’esigenza degli alunni di porre delle domande, alle quali ha risposto puntualmente, con chiarezza e con garbo. Un grande applauso, un variopinto e profumato mazzo di fiori e le foto ricordo hanno concluso la manifestazione del mattino.
Nel pomeriggio alle ore 17,30, presso l’aula Cannizzaro dell’Università degli Studi, il prof. Segre ha ripreso la sua testimonianza su “Che razza di ebreo sono io”. Daniela Villari, resposabile del SAE di Messina, ha presentato Segre come amico e socio del SAE nazionale, al cui sviluppo ha contribuito non poco. Con brevi tratti biografici Daniela ha delineato la figura di Segre, nato da ebrei, in una famiglia cosmopolita e aperta a qualsiasi tipo di incontro. Ha ricordato come nel 1938 le leggi razziali hanno chiuso per lui, come per ogni altro bambino ebreo, le porte della scuola, mandando in frantumi lo spensierato mondo dell’infanzia. Dopo la catastrofe (Shoah) e il crollo del nazi-fascismo rientrò a Milano, dove si laureò in filosofia. Nel 1955 andò in Israele quasi convinto del programma sionista. Ritornò poi negli anni ’90 per conoscere in prima persona il villaggio Nevè Shalom – Wahat al-Salam. Riguardo alla Shoah Segre auspica che ogni rievocazione non si esaurisca nella retorica di una rituale invocazione ‘ciò non deve accadere mai più’, ma favorisca nelle giovani generazioni la progettazione di un avvenire vivibile, da condividere fraternamente con tutti i figli degli uomini”.
Dopo tale presentazione, Segre indirizza la propria conversazione sul piano socio-politico, essendo stato egli stesso per molti anni presidente dell’Associazione italiana “Amici di Nevé Shalom / Wahat al-Salam”. Racconta come Bruno Hussar, sacerdote domenicano, figlio di ebrei, ha avuto l’idea di creare l’Oasi della pace in Israele, un villaggio dove possano convivere Arabi palestinesi ed Ebrei Israeliani. Ci ha descritto nei particolari le difficoltà affrontate da p. Hussar. Ma il progetto è oggi una realtà e ospita, oltre la scuola, le varie iniziative di coloro che amano e si fanno operatori di pace (come i genitori palestinesi e israeliani dei soldati morti durante i combattimenti).
Interessante intervento/domanda del prof. Giovanni Raffaele, che molti anni addietro insieme ad altri messinesi ha potuto visitare il villaggio. La risposta è stata inequivocabile: ci vogliono due stati sovrani, altrimenti la lotta durerà sempre e con conseguenze nefaste per gli uni e per gli altri. Il prof. Giovanni Caola, ebraista, ha chiesto ulteriori spiegazioni sull’essere ebreo “secolare” e/o “laico”. Segre ha risposto che occorre tenere distinti i due termini “secolarizzazione” e “laicità. “Secolare” o “secolarizzato” è l’ebraismo di quelle persone o congregazioni le quali, «avendo perso ogni significativo contatto con le pratiche della preghiera e del rito, intendono tuttavia mantenere vive e, possibilmente, ritrasmettere alle generazioni future le consuetudini del racconto e dello studio; costoro riagganciano la tradizione e a loro modo la recuperano, ma soprattutto considerano irrinunciabile la loro identità ebraica, comunque tale identità venga intesa». Ad altre domande Segre non si è sottratto fin quando il custode dell’Università non ha sollecitato la conclusione dell’incontro.
Evento ancora più significativo si è svolto l’indomani 24 marzo al Parco ecologico S. Jachiddu, dove alla presenza di Segre Mario Albano, frate francescano, ha piantato un ulivo di pace in memoria della visita e auspicando NEVÈ SHALOM – WAHAT AL-SALAM tra israeliani e palestinesi e tra le donne e gli uomini e tutti gli esseri viventi. (Carmelo Labate, SAE di Messina)
Ringrazio e mi complimento vivamente con te, caro Carmelo!
Hai rievocato la mia visita a Messina in modo ampio ed esauriente. Con voi ho davvero vissuto ore indimenticabili.
Ricordami con affetto, per favore, a tutti gli Amici e le Amiche messinesi.
A te un abbraccio. Bruno.
Grazie per quest’interessante articolo che completa degnamente la testimonianza del Prof.Segre. Saluti Ornella.
Grazie! Interessante. Non sapevo del Progetto con i ragazzi nella Scuola e ne sono felice. Penso che l’educazione sia un punto di partenza importante, indispensabile.. .E Segre è stato senz’altro capace di entrare in relazione in modo efficace con i ragazzi: si percepisce dall’articolo, ma già le modalità con cui ha conversato con noi adulti, me lo fanno pensare. Alessandra