E’ straordinario come tutti i tasselli, come per incanto, si dispongano al loro posto per formare un policromo di umanità, di partecipazione, di fede e spiritualità. I convenuti formali erano i Gruppi SAE di Messina, Palermo, Reggio Calabria, Cefalù, Gela, Calascibetta e Piazza Armerina ‘chiamati e accolti dal Gruppo di Enna capitanato da Fenisia Mirabella nei locali dell’Oasi francescana di Pergusa. Sabato 3 settembre 2016, donne, uomini, sacerdoti, pastori, pastore, diaconi e giovani (presentazione di Fenisia) si sono ritrovati per iniziare, tutti insieme, le attività di un nuovo anno di impegno, ascoltando la teologa Antonietta Potente sul tema:
«Osare passi nuovi nel praticare il dialogo ecumenico e interreligioso»
Stile personale. Autentica nel suo linguaggio senza fronzoli ed effetti speciali. Minuta, con occhi penetranti da cui traspare l’ammirata presenza di uno spirito di continua ricerca. Questa forza interiore è frutto della conoscenza intima e profonda della Parola. Nulla è lasciato al caso. Imperturbabile anche nelle risposte da dare a quesiti o domande fatte per evidenziare prevalentemente le differenze. E’ evidente da che parte sta. Ma le sue riflessioni convincono, ancor più, per la forza di stimolo della parte migliore di ogni uomo. Di quella legge scritta nei cuori che non può limitarsi agli aspetti esteriori formalistici, ma che cambia il nostro modo di essere nel mondo, in ascolto costante di ogni brezza leggera, senza dimenticarsi di porre mano all’aratro e poi non voltarsi indietro. Non dobbiamo avere ‘morti da seppellire, genitori e parenti da salutare. Riconoscere che le divisioni, specie nel mondo cristiano, nascono, in tutti i secoli, per interessi politici di potere di ‘poveri uomini. Salutare
il punto di vista sulla creazione non vista come oggetto ma come Soggetto di relazione con Dio. Dalla breve scheda di presentazione, (al termine del post) si può desumere la grandezza dell’impegno morale spirituale della Teologa e quello altrettanto importante della condivisione di vita con i campesinos della Bolivia.
I gruppi hanno poi condiviso le esperienze di dialogo nelle diverse realtà dei partecipanti.
In questo contesto culturale si è incastonato lo spazio ecologico In cammino sulla Via sacra – dal Castello di Lombardia alla Grotta dei santi. La presentazione è stata curata dall’architetto Gianni Trapani e da due giovani e bravissimi Scout
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Nata a Loano nel 1958 Anonietta Potente fa parte della Unione delle Domenicane di S. T. D’Aquino. Ha conseguito il dottorato in Teologia morale a Roma con la tesi : La Diakonia: cooperazione della storia alla riconciliazione compiuta da Dio. Ha insegnato all’Angelicum di Roma e alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale a Firenze. Dal 1994 vive in Bolivia abitando insieme a dei campesinos. Sostiene il cambiamento socio-politico e costituente di Evo Morales. Attualmente collabora con l’Istituto ecumenico di teologia andina di La Paz. Il suo pensiero si sviluppa verso un ripensamento del fare teologia a partire dalla riflessione ecologia e di genere.
«Dialogo: Osare passi nuovi»
A margine dell’intervento di Antonietta Potente a Enna il 3 sett. 2016
E’ naturale per chi vive in Bolivia tra i campesinos, come la teologa Potente, sottolineare che “la salvezza viene dal Sud”. Si tratta, è ovvio, di un sud non prettamente geografico e non solo dei “sud” del mondo globale. Il riferimento è anche a tutte le culture relegate in basso, schiacciate a tal punto da non considerarle protagoniste. Perché ci siamo arroccati nei nostri intellettualismi e abbiamo costruito teorie su tutto, sulle cose che non conosciamo né conosceremo mai a sufficienza (Verità, Mistero, Vita), sulle cose concrete, le quali hanno pure bisogno di una formulazione teorica, ma soprattutto devono praticarsi, farsi esperienza, pasticciare le diversità, aprire alla novità, al cambiamento, all’immaginazione, farsi desiderio di ciò che ancora non è, diventare profezia concreta, incisiva e diretta allo scopo.
Il punto di partenza è sempre il recupero della memoria del territorio, situarsi geograficamente, storicamente, culturalmente, conoscere la propria identità di provenienza per gli aspetti negativi e soprattutto positivi. In questa nostra epoca sembra che conti soltanto l’emergenza e tutto si muove per far fronte ad essa. Ogni forma di relazione non può partire soltanto dall’emergenza del presente, ha bisogno di radici senza che esse soffochino il perenne germogliare dell’albero. Direi che è un hic et nunc esteso al presente tanto quanto al passato e al futuro.
Il dialogo è una prassi che tiene conto della memoria, che tiene conto del presente e che cammina guardando al dopo. Si realizza operando la rivoluzione, il cui termine esatto sarebbe ri-evoluzione, la continua trasformazione del presente in qualcosa che verrà perché noi lo vogliamo, lo lasciamo e lo facciamo venire. In tal senso abbiamo bisogno di osare sempre, osare passi nuovi, quelli che ci indirizzano al mistero e quelli che ci aiutano a riscoprire la relazione, avere ogni giorno una nuova dose di coraggio. Per l’uno e l’altro aspetto ci vuole molta pazienza, quella della terra che a suo tempo fa germogliare ogni cosa, quella della vita che continuamente rinasce, quella di Dio al quale spesso lasciamo i nostri capelli tra le mani. I passi nuovi vanno fondati sui mezzi che abbiamo (non su quelli che vorremmo avere o altri hanno) e soprattutto nella preghiera: “Ogni giorno, Signore, risveglia il mio udito” (Is. 50,4-7).
Potremmo dire che la palestra del dialogo, della relazione con le sue diverse aggettivazioni (ecumenica, interreligiosa, …) quanto basta nei casi specifici, sono i luoghi del mistero nella sua infinitudine, della natura (creato) eco-cosmologica, dell’umanità quotidiana, della problematica bio-etica-sociale che avviluppa e dipana le relazioni.
Osare non è passività, è speranza, è immaginazione fino a divenire messia di se stessi, osando per fede (che non è atto magico, ma l’essere impastati della fatica propria e di quella del popolo e dell’umanità e della terra cui apparteniamo, impregnati di quel divino superamento che la fede ci rivela (non è un ossimoro, fede e rivelazione s’incontrano nella Parola). Osare è narrazione costante nel Primo e nel Nuovo Testamento. Ad esempio il passo della emorroissa (Mt. 9,20-22; Mc. 5,21-43), nel quale la donna malata osa inserirsi tra gli altri, lei, che era socialmente e religiosamente emarginata, osa toccare quel Gesù che la coinvolge col suo parlare promettente liberazione, osa perché non ne può più della sua patologia e condizione, osa perché vuole riconquistare la bellezza e la dignità che le è propria. Allo stesso tempo c’è Gesù che osa rompere gli schemi della purità rituale, che osa disubbidire alle regole del potere per aprire spazi di liberazione.
Diceva Jung che l’umanità ha un debito con l’immaginazione. Allora bisognerebbe praticarla di più. Pensare ad es. che la povertà non è brutta. Semmai è ingiusta. E viene tenuta tale dall’operare quasi esclusivamente sull’onda dell’emergenza, senza progettualità, senza un’etica virtuosa legale che diventi giustizia.
I passi nuovi e trasformativi si possono osare se c’è il desiderio della relazione, ma non soltanto fuori da sé, soprattutto dentro di sé, creare dentro se stessi una relazione con l’Altro che mi chiama ad essere “non so che cosa”. “Esci da questa terra”, Abraam, e va verso te stesso (Gen. 12,1-20). Nel dialogo i passi nuovi non si fanno a tavolino. Per troppo tempo abbiamo studiato come dialogare, abbiamo trattato il dialogo come cosa teorica, senza però praticarlo. Perché il dialogo (dià-logos) è maieutica, cura il parto della parola negli altri, libera l’altro dal retaggio che ha causato divisione, scontro, emarginazione. Il dialogo immagina una tale apertura all’altro da far dire: sono contento della tua appartenenza ad una chiesa diversa dalla mia, evitiamo insieme il rischio che tu possa essere fagocitato dalla mia.
Soltanto chi non vuole perdere le proprie comodità non si muove verso passi nuovi. Si pensi a questa ondata epocale di migrazione. Uomini, donne e bambini si muovono come inseguiti dalla morte (Is. 2: ad esso affluiranno tutti i popoli … e non si eserciteranno più nell’arte della guerra). Ed è certamente un mistero il fatto che non riusciamo a scoprire la bellezza plurale. La narrazione biblica porta moltissimi esempi di scuse contrapposte all’invito del Signore, infatti troppe scuse bloccano il nostro ontologico immaginare, la nostra capacità di ricreare, di vibrare in maniera nuova (cieli e terra nuova). Un linguaggio nuovo e concreto annullerebbe la frattura tra teoria e prassi. La Parola/parola media l’ascolto e i fatti: ecco ti parlo per riconoscere in te che hai facoltà di parola, agisco con te perché tu possa agire con me. Rimanere coinvolti in un progetto in divenire. L’identità che ci siamo dati (nello specifico l’identità religiosa) non è come ce l’hanno raccontata, va riscoperta l’originale per costruircela noi ora, non tanto per metterci d’accordo, quanto per vivere insieme in maniera festosa, per dire al mondo quanto sono belle le differenze e le diversità, per dire che la vita, la relazione procede per aggiunta e non per divisione: la terra è prima di noi e noi su essa siamo stati posti, così gli altri di prima e dopo di noi. Facciamoci cercatori di profezia. (Carmelo Labate, 8 sett. 2016).